Che cos’è l’employee experience?
Letteralmente è l’esperienza del dipendente nella tua azienda. Una definizione ricorrente la descrive come l’interazione – forse è più corretto parlare di qualità della relazione – tra le persone e l’organizzazione o azienda durante tutto l’arco lavorativo, dall’assunzione all’uscita.
Il reparto di competenza – in genere Risorse Umane – dovrebbe partire da quattro piccole domande, le cui risposte dovrebbero aiutare tutti gli altri reparti e il datore di lavoro nel disegnare la strategica aziendale: 1 come miglioro l’entrata in azienda della persona?
2 come miglioro la sua permanenza?
3 come posso creare un percorso di crescita sia professionale sia di autorealizzazione e soddisfazione emotiva?
4 come miglioro e rendo empatica la fine del rapporto?
Poste queste domande, in parte ispirate a un touch of zen, molto aderenti quindi a percorsi di sviluppo della consapevolezza e dell’autorealizzazione, è evidente che l’employee experience è semplicemente il miglioramento dell’ecosistema lavorativo per il dipendente.
La filosofia zen cura il ciclo di vita umano e di autorealizzazione nei termini di inizio, presenza-cambiamenti e fine. Dunque parlare di collaboratore o dipendente sul posto di lavoro ha a che fare con un ciclo di vita (lavorativo) che trova un equilibrio anche con la vita al di fuori dell’azienda.
Si dice anche che l’employee experience sia un viaggio, in cui l’esperienza di lavoro accresce la performance di pari passo con la soddisfazione di lavorare in quel preciso ambiente, e per ambiente si intende luogo di lavoro, struttura e organizzazione, superiori, colleghi.
Employee experience o customer experience?
Questo è un falso dilemma, vediamo perché.
Il mondo occupazionale e le aziende, quelle grandi prima delle altre, hanno compreso che in un periodo di grande incertezza e fluidità come quello che stiamo vivendo oggi – direbbe il sociologo Zymunt Bauman – esiste una forte competizione per attrarre talenti, specialmente per l’alta specializzazione. Anche in un Paese come il nostro con zone caratterizzate da difficoltà di accesso occupazionale, i talenti restano il valore aggiunto delle aziende.
Come curare le relazioni con questi talenti? La risposta è di trattarli come i nostri clienti più importanti, proprio in virtù del fatto che i talenti migliori fanno un lavoro di alta qualità che soddisfa le richieste dei clienti migliori.
Le 4 domande di cui sopra hanno un fattore comune, anzi una domanda fondamentale di origine: come posso contribuire – come azienda o come manager – al benessere personale di quel preciso dipendente con un suo preciso nome, una precisa storia e specifici e personali desideri e aspirazioni?
Negli Stati Uniti, il mercato che anticipa fortemente i trend, hanno già a iniziato a mentalizzare i dipendenti e a trattarli in modo molto simile ai clienti. Anche se anticipano i trend, dobbiamo dire che una lettura più approfondita del cambiamento in atto, non conduce all’equazione dipendenti = clienti, ma il cambiamento è ancora più radicale:
Clienti, dipendenti = persone.
Employee experience, una nuova cultura d’impresa
L’iperconnettività nel marketing, come osserva anche Kotler, sta navigando verso criteri di umanizzazione, specialmente nei settori digitali. Quando abbiamo davanti un cliente o un dipendente, abbiamo di fronte persone in cerca di risposte a specifici bisogni, di prodotti e servizi così come di riconoscimento e autorealizzazione. Attenzione, parliamo sempre di un percorso di business e non etico, il focus è quello di trovare il servizio o il prodotto che soddisfa i bisogni delle persone. La dimensione etica si apre solo se quel prodotto o servizio sviluppi o meno una reale autorealizzazione. Tuttavia, una parte etica sussiste sempre, perché quando affrontiamo il benessere del personale, stiamo trattando anche una questione etica… e questo lo vedremo meglio nel prossimo articolo dedicato all’employee experience.
Stiamo entrando in un nuovo mondo, digitale, più interconnesso, più paritario e egualitario, siamo agli albori di un nuovo paradigma culturale, dove la qualità del prodotto non si può più nascondere… e nemmeno la reputazione di un brand o azienda.
Basta fare un giro sui social network e leggere quei commenti (anche innocenti battute) di persone sul proprio lavoro, e trovarsi davanti a uno spartiacque tra ambasciatori e insoddisfatti.
Dall’employee engagement a qualcosa di più profondo e da uno sguardo d’orizzonte più ampio, il benessere della persona nel proprio lavoro. Ed è un business dell’azienda, è un suo asset strategico.
Dall’identità del brand alla cultura che sostiene e fa pulsare il brand.
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